Pace

La pace non è solo assenza di conflitti. Senza diritti uguali per tutti è solo una tregua prima di una nuova guerra. Già nel 2001 il movimento contro la globalizzazione neoliberista aveva compreso che lo stato di guerra era diventato permanente. Anni dopo Papa Francesco la definirà “la terza guerra mondiale a pezzetti”. Questo stato di “guerra permanente” si alimenta con la paura e l’insicurezza che giustificano il controllo sociale, e come conseguenza ha la sovrapposizione degli apparati militari con quelli di polizia.

52 miliardi di dollari

di perdita di produzione agricola nell’Africa Subsahriana dal 1970 al 1997 a causa di guerre

(FAO)

Genova, luglio 2001.

Hebe de Bonafini, Presidente delle Madri di Plaza de Mayo, partecipa alla Sessione Tematica “Diritti Umani e Civili”. Ai microfoni di Radio Popolare raccontava come nel suo Paese, l’Argentina, le istituzioni continuassero a uccidere: non più con le pallottole, ma con la fame.

 

Foto by Manuel Vignati.

Gli anni di Bush sono stati odiosi e violenti per molti motivi: le invasioni, le guerre, la difesa dei metodi violenti come la tortura, il tracollo dell’economia globale. Ma l’eredità più pesante lasciata dall’amministrazione Bush è il modo con cui ha sistematicamente fatto al governo statunitense quello che i dirigenti fissati con il branding avevano fatto alle loro aziende dieci anni prima: l’ha svuotato assegnando al settore privato molte funzioni essenziali, dalla difesa dei confini alla protezione civile all’intelligence. […] Nessuno si è impegnato con più zelo a mettere all’asta il governo degli Stati Uniti del tanto vituperato segretario di stato di Bush, Donald Rumsfeld. Avendo lavorato per più di vent’anni nel settore privato, Rumsfeld era imbevuto di cultura del branding e dell’esternalizzazione. E aveva molto chiaro qual era il marchio che il suo dipartimento doveva promuovere: il dominio globale. La competenza chiave era combattere. Per tutto il resto, diceva Rumsfeld con un tono che lo faceva somigliare a Bill Gates, “dobbiamo cercare fornitori che implementino le attività secondarie”. Questa visione radicale è stata sperimentata in Iraq durante l’occupazione statunitense. Fin dall’inizio Rumsfeld ha pianificato la dislocazione delle truppe come un vicepresidente di Walmart che cerca di risparmiare sul personale. I generali volevano 500mila soldati, lui ne offriva 200mila, con i contractor e i riservisti a colmare le lacune secondo le necessità. Seguiva la filosofia industriale del just in time: produrre solo quello che è già stato venduto o che si venderà immediatamente. Nella pratica, mentre la situazione irachena sfuggiva al controllo degli Stati Uniti, l’industria privata della guerra cresceva sempre di più per sostenere un esercito ridotto all’osso. La Blackwater, che originariamente doveva limitarsi a fornire le guardie del corpo al diplomatico statunitense Paul Bremer, presto si è assunta altri compiti, compresa una battaglia contro l’esercito di El Madhi nel 2004. Quando la guerra si è spostata nelle prigioni, piene di migliaia di iracheni rastrellati dai soldati americani, i contractor si sono occupati di interrogare i prigionieri e in alcuni casi sono stati accusati di torture.

Naomi Klein, NO LOGO DIECI ANNI DOPO, articolo pubblicato sul Guardian e tradotto su Internazionale numero 906 – 15/21 luglio 2011

2.000 miliardi di dollari

la spesa statunitense per i 20 anni di guerra in Afghanistan (New York Times)

8,4 miliardi

quella italiana (milex.org)

Milano, giugno 2021.

Il sociologo Salvatore Palidda, intervistato dal Festival dei Diritti Umani, spiega perché il neoliberismo ha bisogno di esportare guerre ed estendere il controllo sociale. Ed è davvero una realtà globale. (Guarda l’intervista completa su YouTube)

1981 miliardi di dollari è la spesa militare mondiale, + 2,6% rispetto al 2019, il 2,4% del PIL globale. Stati Uniti, Cina, India, Russia e Gran Bretagna rappresentano il 62% della spesa militare mondiale.

Milano, luglio 2021. Francesco Vignarca, Coordinatore delle campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo. La pace come giustizia sociale, economica e finanziaria e il cambio di paradigma della guerra – accelerato con l’attacco alle Twin Towers del 2001: da fredda a permanente.